"Guardare oltre le ombre"
Gli sguardi dell'Occidente verso le culture altre
La frase, citazione di Marc Augè, riguarda una serie di vetrine “opache” allestite all'ingresso del museo, dove, degli oggetti, si vedono solo le ombre ed i contorni, e che devono dare l'idea al visitatore di come sia stato “conflittuale” il rapporto con i materiali delle culture “altre”.
Si può aggiungere che l’opacità allude al fatto che buona parte delle raccolte sia contenuta in depositi e non esposto: dunque, un desiderio di luce futura su quanto ancora ci appare nascosto.
“Il Museo degli Sguardi riunisce reperti raccolti nei vari continenti da diversi viaggiatori e collezionisti. Pertanto rispecchia la curiosità di questi ultimi e di coloro ai quali essi si sono interessati. Più in generale, è risaputo che lo sguardo con cui gli Occidentali hanno osservato gli altri popoli è cambiato nel tempo, talvolta anche in funzione delle condizioni particolari in cui essi erano entrati in contatto con questi ‘altri’. E’ risaputo altresì, che questo cambiamento non è stato lineare e che, nel rapporto con l’altro, nuove rappresentazioni possono aggiungersi alle vecchie senza che per altro queste ultime si dissolvano immediatamente. Abbiamo oggi in Europa un’immagine molto più quotidiana e familiare degli Africani e degli Asiatici, per esempio, ma ciò non ci impedisce di essere ancora sensibili all’evocazione del presunto carattere misterioso dei continenti africano ed asiatico.
Il Museo degli Sguardi vorrebbe avvicinare il proprio pubblico alla dimensione riflessiva della nostra relazione con l’arte degli altri, rivelandola nei diversi aspetti che essa ha assunto a seconda del nostro sguardo: scandaloso, nel primo sguardo cristiano che è arrivato a scorgere in essa una prova esotica dell’esistenza del diavolo; sorprendente, nello sguardo curioso dei primi viaggiatori e degli scienziati che iniziavano a catalogare le meraviglie della natura; istruttivo, nello sguardo degli archeologi e dei primi etnografi che vi scoprivano segni di vita e di cultura; sconvolgente, per i
primi rappresentanti dell’arte moderna – surrealisti o pittori cubisti – che in quest’arte “altra” hanno visto svelata un’altra visione del mondo, uno sguardo differente che essi sentivano vicino al loro; sublime, a volte, agli occhi di coloro che, senza nessuna particolare conoscenza etnologica, hanno la rivelazione dello splendore formale di alcuni oggetti. Oggi, inoltre, tutti sono più o meno abituati alle forme di volta in volta variate e un po’ stereotipate dell’arte ‘turistica’, concepita per il commercio, al di fuori di ogni preoccupazione metafisica o religiosa. Ma l’arte ‘indigena’ è anche uno stimolo per le arti plastiche che cercano nuove fonti d’ispirazione nell’epoca della globalizzazione e dell’uniformazione estetica. Mille piste, mille inviti rinnovati al sogno, alla riflessione e al viaggio di cui ci si sforza di seguire i segni in un percorso tracciato che ci conduce da ieri al domani, dallo scandalo all’ammirazione, ma che si può seguire in tutti i sensi, ritornando, se necessario, sui propri passi, perché abbiamo sempre bisogno di stupirci, di capire e di ammirare.”
Marc Augè, Presidente del Comitato Ordinatore del Musei