A nord del decumano massimo, là ove oggi è palazzo Diotallevi, nel II secolo d.C. sorgeva una prestigiosa domus, cresciuta su un sito abitato fin dalla fase di fondazione di Ariminum. La ristrutturazione della media età imperiale vede eleganti stanze affacciarsi sul grande cortile sagomato a T e un ampia sala aprirsi con una suggestiva scenografia incentrata sul mosaico con scena portuale.
L’agiato tenore di vita è reso da mosaici, intonaci, sculture, vetri e ceramiche, oggetti in osso e bronzo. Fra i materiali più originali il pavimento con decorazione geometrica del vano “N”, identificato come triclinio, l’unico mosaico policromo della domus; la statuaframmentaria in marmo, probabile copia del celeberrimo discobolo di Policleto, ritrovata presso la vasca ornamentale del cortile-giardino; la base in pietra con scena di vita quotidiana che rappresenta un personaggio, forse un maestro, seduto su di un alto seggio con in mano un volumen, di fronte al quale si trova un ragazzo (lo scolaro?) intento a sistemare una lucerna.
Grandioso appare, al visitatore, il mosaico figurato, in bianco e nero, del vano di rappresentanza della domus. Al suo centro è l’effigie di Ercole nell’atto di levare la coppa per la libagione. Intorno al dio, caratterizzato dalla clava e dalla pelle leonina, si irradia una articolata decorazione con motivi geometrici, racemi, animali¸ vasellame, racchiusa, su tre lati, da un'alta fascia bianca. Il kantaros, la grande coppa per il vino, segna la soglia della sala, con riferimento ai banchetti che ospitava. Alla professione del padrone di casa allude la scena con l’ingresso delle barche nel porto, che gli ospiti potevano ammirare dai loro letti tricliniari, apprezzando la fortuna del dominus nella sua attività marinara. La stanza presentava pareti caratterizzate da un forte cromatismo, in contrasto con il bianco e nero del pavimento.
Lo splendore della mensa è suggerito dal servizio in bronzo custodito in un armadio ligneo. Si possono ammirare brocche, pentole, un tegame, una situla, un portalampada, grandi cesoie in ferro ed un lare danzante. Dell’armadio, carbonizzato nell’incendio che distrusse la domus nella seconda metà del III secolo d.C., rimangono i cardini, i chiodi in ferro e bronzo e la complessa serratura.