Il profilo della Rimini tardoantica, connotato dall’affermazione del Cristianesimo e dall’influenza della vicina Ravenna, capitale dell’impero bizantino, si disegna anche attraverso piccoli, ma interessanti oggetti di culto e di vita quotidiana.
A iniziare dal reliquario in argento, custodito nella base d’altare della chiesa dei SS. Andrea, Donato e Giustina, che reca inciso il motivo della croce latina fra l’alfa e l’omega (simboli dell’eternità di Dio), e quindi proseguire con il “tesoretto” ritrovato negli anni ’60 in piazza Cavour.
Lo compongono due fibule, di cui una in argento dorato, del tipo “a croce a bracci uguali” caratteristico dell’abbigliamento maschile bizantino; sei cucchiai con manico lungo e sottile; un contenitore cilindrico (pisside) e una spatolina per unguenti e cosmetici, un frammento di specchio e un ago, tutti elementi in bronzo riconducibili alla sfera femminile.
Fra gli oggetti più comuni, la lucerna che accompagna la vita e la morte dell’individuo recando sia immagini filtrate dal mondo pagano quali il leone, il gallo, il pavone, il sole o la ruota sia simboli cristiani quali la croce gemmata, il chrismòn (il monogramma che unisce le iniziali del nome greco XPISTOS), il Santo Sepolcro e la palma.
La moda del tempo si riflette nelle fibule che trattenevano i pesanti mantelli, nelle fibbie e nei pendagli da cintura di gusto bizantino.
La compagine multietnica emerge dai corredi delle sepolture: emblematico il ritrovamento di Cava Sarzana, lungo il corso del Marecchia, con due tombe maschili, probabilmente di mercenari, che contenevano oggetti di fattura bizantina accanto a elementi, quali le frecce e l’acciarino, tipici dei Longobardi.